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mercoledì 18 maggio 2011

Scacchi

I giocatori, nel grave cantone,
guidano i lenti pezzi. La scacchiera
fino al mattino li incatena all'arduo
riquadro dove s'odian due colori.

Raggiano in esso magici rigori
le forme: torre omerica, leggero
cavallo, armata regina, re estremo,
alfiere obliquo, aggressive pedine.

I giocatori si separeranno,
li ridurrà in polvere il tempo, e il rito
antico troverà nuovi fedeli.

Accesa nell'oriente, questa guerra
ha oggi il mondo per anfiteatro.
Come l'altro, è infinito questo gioco.


Lieve re, sbieco alfiere, irriducibile
donna, pedina astuta, torre eretta,
sparsi sul nero e il bianco del cammino
cercano e danno la battaglia armata.

Non sanno che è la mano destinata
del giocatore a condurre la sorte,
non sanno che un rigore adamantino
governa il loro arbitrio di prigioni.

Ma anche il giocatore è prigioniero
(Omar afferma) di un'altra scacchiera
di nere notti e di bianche giornate.

Dio muove il giocatore, questi il pezzo.
Quale dio dietro Dio la trama ordisce
di tempo e polvere, sogno e agonia?
(Jorge Luis Borges)

giovedì 28 aprile 2011

il Vecchio indiano

"I swami credono troppo nelle parole", disse. Era come se avesse letto nei miei pensieri e, prima che io dicessi quanto pero' il Vedanta mi aveva aiutato, aggiunse: "Il Vedanta e' un ottimo punto di partenza, ma troppo intellettuale. La vera conoscenza non viene dai libri, neppure da quelli sacri, ma dall'esperienza. Il miglior modo per capire la realta' e' attraverso i sentimenti, l'intuizione, non attraverso l'intelletto. L'intelletto e' limitato."

Non capivo esattamente dove stava; quale fosse la sua posizione. Non vestiva di arancione come i rinunciatari, non aveva sulla fronte il tocco rosso degli indu'; non c'era niente nel suo aspetto, ne' in quel che aveva detto, che indicasse la sua appartenenza a una particolare fede. Allora?

"Vedanta, buddhismo, induismo, jainismo: l'uno non esclude l'altro", rispose. "Questa e' l'India; una civilta' fatta di varie religioni, tutte pero' fondate su alcune idee di fondo che nessuno, da Buddha in poi, ha mai messo in discussione."  Si fermo'; e, guardandomi come per esser sicuro che capivo e che magari le condividevo, si mise a elencare quelle idee:

"Questo non e' il solo mondo", disse, indicando con un ampio gesto del braccio l'intero orizzonte. "Questo non e' il solo tempo", e punto' il dito contro il mio orologio. "Questa non e' la sola vita", e indico' se stesso, me e tutto quel che c'era attorno. Si fermo' come per farci riflettere. "E questa non e' la sola coscienza". Toccandosi il petto concluse: "Cio' che e' fuori e' anche dentro; e cio' che non e' dentro non e' da nessuna parte". Poi come se volesse alleggerire l'atmosfera, scoppio' in una bella risata e, rivolto a me, aggiunse: "Per questo viaggiare non serve. Se uno non ha niente dentro, non trovera' mai niente fuori. E' inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di se'".

Mi sentii colpito. Aveva ragione. 

giovedì 26 agosto 2010

Il bar sullo Zeedijk

Mexico City bar, Amsterdam
Il bar sullo Zeedijk dove il giudice penitente esercita il suo ministero
  
  Potrei, egregio signore, senza rischiare d'importunarla, offrirle i miei servizi? Temo che lei non sappia farsi intendere dall'esimio gorilla che presiede ai destini di questo locale. In effetti, egli parla soltanto olandese. Se non mi autorizza a patrocinare la sua causa, non indovinerà che lei desidera del ginepro. Ecco, oso sperare che m'abbia capito; quella scrollata di capo deve significare che si arrende alle mie ragioni. Infatti si muove, si affretta con saggia lentezza. Lei è fortunato, non brontola. Quando si rifiuta di servire, gli basta un brontolio: nessuno insiste... 
Ha ragione, quel mutismo è assordante... Una delle poche frasi che gli abbia sentito uscir di bocca proclamava che se piace è così, se no niente. Che cosa doveva piacere? Lui stesso, senza dubbio. Le confesserò che sono attratto da questi esseri tutti d'un pezzo. Quando uno, di mestiere o per vocazione, ha meditato a lungo sull'uomo, gli accade di provar nostalgia per i primati. Quelli non hanno pensieri reconditi". 
(A. Camus, La caduta)
    
 «Alcuni anni fa ero avvocato a Parigi, un avvocato abbastanza noto, a dir il vero. M'ero specializzato nelle nobili cause... mi bastava fiutare il minimo odor di vittima su un accusato perché le mie maniche si mettessero in moto... 
Inoltre, ero sorretto da due sentimenti sinceri: la soddisfazione di trovarmi dalla parte del giusto ed un istintivo disprezzo per i giudici in genere. Disprezzo che in fin dei conti forse non era così istintivo: adesso so che aveva le sue ragioni. Ma, visto dall'esterno, assomigliava piuttosto a una passione. Non si può negare che, almeno per il momento, occorrono dei giudici, no? tuttavia non riuscivo a capire come un uomo si proponesse da sé per esercitare questo compito strabiliante. Ammettevo il fatto, vedendolo, ma un po' come ammettevo le cavallette. Con la differenza che le invasioni di codesti ortotteri non mi hanno mai reso un centesimo, mentre mi guadagnavo da vivere a dialogare con gente che disprezzavo".
 
 Il sito dello Zeedijk http://www.zeedijk.nl/index-eng.html 
 
  C'è davvero un Bar Mexico sullo Zeedijk ad Amsterdam: un caso? Più probabilmente un'abile iniziativa imprenditoriale, o un barista assai colto, che ha letto Camus. Forse tutte e due le cose. "Colto e con il senso degli affari" potrebbe essere l'epitaffio di un olandese medio, così come viene descritto da Camus: spregiudicato, eppure con una profonda moralità, come 'quei signori che vivono del lavoro di quelle dame' o quei mercanti che mettevano una testa di negro sulla loro casa, per dichiarare senza infingimenti la loro professione di negrieri.

martedì 25 dicembre 2007

Auguri scomodi

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.

Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.
Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!
 
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali
e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
 
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
 
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
 
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
 
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
 
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
 
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.
Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
 
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge ”, e scrutano l’aurora,
vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio.
 
E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
                                                                                   Tonino Bello

giovedì 22 marzo 2007

Diritti

Due parole sui diritti innati e sul diritto naturale.
 
Se ne è scritta nei secoli un'immensa biblioteca e non sarò certo io a risollevare questa questione in un articolo. Soltanto qualche breve riflessione. Il solo, l'unico diritto innato deriva dall'ente, che esiste e vuole esistere. Nel caso della nostra specie quell'ente si chiama persona, quali che siano i tanti significati che si danno a questa parola. In latino persona significa maschera. Per noi significa individuo, infinitesima parte di una specie, anch'essa individuata tra la moltitudine delle specie. Il diritto dell'individuo persona ad esistere è innato, proviene dalla natura che lo fornisce anche alle altre specie e agli individui che le compongono, ciascuno dei quali, dall'albero al falcone alla persona dotata di mente, vuole, disperatamente vuole esistere e adopera tutti gli strumenti che la natura gli ha fornito per esistere.
Per soddisfare questo diritto "biologico" l'individuo entra necessariamente in conflitto con tutto ciò che lo circonda, con l'obiettivo, per lui primario, di guadagnare e preservare lo spazio di cui ha bisogno. Le radici di due alberi nati troppo vicini tra loro si disputeranno il terreno da cui traggono alimento e la luce che gli serve per la fotosintesi senza la quale appassirebbero. E se lo spazio è troppo ristretto uno dei due finirà col morire diventando uno stecco senza più fronde nè linfe. A maggior ragione ciò si vede nel regno animale ed in quello degli uomini. Ho sentito l'altra sera il nostro telepredicatore nazionale esaltare l'innocenza dei bambini, il loro candore, la loro innata bontà.
L'età dell'oro, insomma. Ma è falso. E' un falso luogo comune. Il bambino è certamente innocente, ha mangiato soltanto i frutti dell'albero della vita e non ancora quelli della conoscenza. Nè sa che cosa sia il peccato. Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d'ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sè l'attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri.
Questo è l'istinto primordiale, innato, esclusivo. E spetta a chi li educa insegnare a contenere l'istinto primordiale, a rispettare gli altri, la roba degli altri e addirittura a condividere la propria con gli altri.
 
Questa disponibilità non è affatto innata ma indotta. Dalla cultura, dall'insegnamento degli adulti. E, infine, poichè quell'istinto primordiale ci accompagna fino alla morte, educare e al bisogno limitarlo, spetta alle leggi sulle quali si fonda la Città terrena. I cui fondatori e reggitori si imposero sugli altri con la violenza della scaltrezza o con quella della forza per acquistare il potere ed esercitarlo. Nessuno è stato ed è esente da questo peccato originario, fondato sull'unico diritto innato: la sopravvivenza dell'ente e il dispiegarsi della sua potenza. Il Papa, quando rispolvera il diritto naturale e lo riconduce al Creatore e chiede che le leggi e la gestione della comunità civile siano improntate alle sue indicazioni, non fa che esprimere la volontà di espansione e potenza dell'ente da lui rappresentato. Esprime attraverso comandamenti religiosi la volontà di potenza della sua religione. Non so perchè questo obiettivo sia chiamato oggi "buona laicità". Ma se un confronto ci deve essere tra la Chiesa e il mondo moderno, il dicorso e l'analisi debbono andare molto al di là delle trovate lessicali. La "buona laicità" odora da lontano di teocrazia. Non vorrei che il confronto con l'Islam ci portasse ad imitarlo nel peggio anzichè suggerire agli islamici di scoprire il meglio delle loro e delle nostre Scritture.
 
(Scalfari da Repubblica del 23.10.2005)

Lectio magistralis

SE DIO CI GUARISCE
La "lectio magistralis" del cardinal Martini che riceve oggi una laurea honoris causa
Il Nuovo Testamento racconta i miracoli di Gesù che viene presentato come guaritore
Molte volte nella Bibbia si ricorda il Signore nelle vesti di colui che cura il suo popolo e ne risana le piaghe
Della potente e misteriosa divinità ebraica non si conosce il volto ma l´agire
Di Cristo medico sta scritto: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le malattie
di Carlo Maria Martini
 
Ho un ricordo che risale a dieci anni fa. Sono le parole in ebraico del Salmo 8: «Che cosa è l´uomo perché te ne ricordi / il figlio dell´uomo perché te ne curi? Eppure l´hai fatto poco meno degli angeli, / di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi». Sono le parole che mi suggeriscono qualche riflessione su Dio guaritore. La personalità misteriosa del Dio di Israele viene espressa dalla Bibbia ebraica anzitutto con verbi di azione, poi con aggettivi e infine con sostantivi. I verbi sono quelli con cui vengono indicate le attività fondamentali di Dio a favore del suo popolo e dell´umanità, quelle che lo qualificano in maniera permanente come potente e misterioso, quelle che lo rendono presente, ma in certo senso anche lo nascondono perché non ci viene rivelato il suo volto, ma descritto il suo agire.
I verbi da tenere presente sono molteplici. Qui elenco a modo di esempio i seguenti: Dio crea la terra e l´uomo che in essa abita (Isaia 42,5-6a: «Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alle genti che la abita e l´alito a quanti camminano su di essa»); Dio fa promesse (Genesi 22,16-18: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore. io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la sua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni sulla terra»); Dio libera (Esodo 6,6: «Per questo dì agli Israeliti: Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi»); Dio riscatta e salva («Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome. Poiché io sono il Signore tuo Dio, Il Santo di Israele, il tuo salvatore»: Isaia 43,1-3); Dio comanda (Esodo 34,11: «Osserva dunque ciò che io oggi ti comando»); Dio guida (Deuteronomio 8,2: «Ricordatevi di tutto il cammino per cui il Signore vi ha guidato in tutti questi quarant´anni nel deserto.»); Dio perdona (Salmo 65,4: «Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri peccati»).
Tutti questi verbi e molti altri ancora specificano un´azione positiva di Dio verso Israele. Dio è quindi visto non come qualcuno che anzitutto sussiste in sé, nella sua indipendenza e isolamento, ma come qualcuno che opera per altri e che agisce in particolare con interventi precisi nella storia del suo popolo.
Dalla qualità e molteplicità di questi interventi si ricavano anche alcuni aggettivi, che non sono tuttavia per lo più costitutivi e «definitori» della persona, ma sono derivati dalla frequenza delle azioni indicate nei verbi. Abbiamo così la serie di aggettivi proposta in Esodo 34,6-7, in cui siamo soliti fermarci agli attributi di misericordia, dimenticando la seconda parte dell´elenco: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all´ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma che non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
I verbi indicano dunque le azioni costanti di Dio e gli aggettivi tentano di sintetizzare quest´azione costante, per quanto è possibile penetrare nel mistero di Dio, che fugge ad ogni definizione.
In terzo luogo vengono i nomi, presentati non come definizioni proprie e accurate ma come metafore del divino, derivati dai verbi e dagli aggettivi. A questi ultimi occorre dunque richiamarsi per comprendere il significato dei nomi.
Si è proposto di dividere i sostantivi in due categorie: quelli che esprimono una metafora di governo e quelli che esprimono metafore di sostegno.
I primi sono assai più importanti. Essi presentano la figura del giudice, del re, del guerriero, del padre. Le metafore di sostegno sono meno frequenti e presentano soprattutto Dio come colui che ha cura, mantiene, nutre, sorregge il 7-8), come giardiniere e vignaiolo, come madre, come pastore e anche come guaritore.
Quest´ultima metafora non è molto presente, ma la si trova in vari contesti nodali. Essa appare per esempio in Deuteronomio 32,39; Osea 6,1; Esodo 15,26. Una tale qualifica di Dio viene esercitata non come distacco, ma con pathos (Geremia 3,22; 8,22).
Dio guarisce in profondità e non alla leggera, come fanno alcuni profeti o sacerdoti («Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: «Bene, Bene» ma bene non va»: Geremia 8,11). Tale azione di Dio suppone un contesto di sincerità e non di menzogna o di reticenza (Salmo 32,3-5: «Tacevo e si logoravano le mie ossa. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto «Confesserò al Signore le mie colpe» e tu hai rimesso la malizia del mio peccato»).
L´Antico Testamento conosce anche i limiti di questa capacità di guarire, e questo in particolare quando la persona o il popolo resistono all´azione di Dio. Si veda Geremia 51,5-6: «All´improvviso Babilonia è caduta, è stata infranta; alzate la mente su di essa; prendete balsamo per il suo dolore, forse potrà essere guarita.
Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese; poiché la sua punizione giunge fino al cielo e si alza fino alle nubi». Viene subito in mente il passo dei vangeli che descrive la visita di Gesù alla sua città di Nazaret: «E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità (Matteo 13,58).
Una caratteristica di Dio guaritore nella Scrittura è che egli non si limita ad alcuni interventi di guarigione, ma pone questa sua azione nel complesso di tutto il suo agire per il popolo, sia direttamente come per mezzo dei suoi intermediari: re, sacerdoti, profeti etc. e delle istituzioni preposte al benessere di Israele, come la Toràh etc. Così anche nel nostro tempo la guarigione non è ipoteca solo di alcuni specializzati, neppure soltanto dei medici, ma si compie nell´insieme di una società che promuove l´uomo e ogni suo aspetto positivo, fino a quello che riguarda la verità e l´autenticità profonda dell´esistenza, a cui è legato anche il senso pieno del nostro benessere.
Nel nuovo Testamento la qualifica di Gesù come medico è certamente più presente, perché Gesù è caratterizzato, soprattutto nella prima parte della sua azione pubblica, come grande guaritore. Perciò i riferimenti alla sua azione sono numerosi. Si veda ad esempio Marco 1,32: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni». Si veda anche Matteo 8,16: «Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Isaia, 53,4).
La sua capacità di guarire le ferite è espressa in particolare nella sua passione. La frase più commovente si trova forse nella prima lettera di Pietro, che si richiama alla profezia di Isaia già sopra citata: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più nel peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (Isaia 53,5.6; Ezechiele 34,1). Gesù stesso aveva detto, parlando di coloro che criticavano il venire a lui di molti peccatori e pubblicani, che: «non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). In ogni caso anche qui l´azione guaritrice di Gesù si pone come una parte della sua azione totale di rinnovamento della persona ed i riscatto dai suoi peccati.
Tale potenza guaritrice di Gesù è stata lasciata come dono alla sua Chiesa: «questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono. imporranno le loro mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17s). Difatti noi vediamo negli Atti degli Apostoli descritte le guarigioni operate da Pietro e da Paolo.
Gesù ha sempre impegnato la sua Chiesa ad essere vicina ai malati in tanti modi. Essa spinge oggi ad essere presenti a coloro che sono nella malattia attraverso l´aiuto anche di molti medici i infermieri, che si prendono cura dei malati con spirito evangelico e che guardano al benessere complessivo della persona.
Nel nostro tempo infatti c´è bisogno non soltanto di fare delle diagnosi precise e di indicare delle medicine efficaci. Occorre prendersi cura del malato nella sua totalità, nelle sue debolezze, nel suo bisogno di essere compreso, sostenuto, aiutato e amato. Così il medico compie un´opera che è parte di un insieme più vasto e che tuttavia si ricollega a quella di Gesù ed esprimere la cura della Chiesa per ogni persona sofferente.
 
(da Repubblica del 13.10.06)