venerdì 30 marzo 2007

Famiglia naturale

La «famiglia naturale»? Non esiste, perché la natura è violenza, caos e incesto ..

di Dacia Maraini
Il Papa sostiene, con ostinato candore, che si deve difendere la famiglia naturale. Ma cosa intende per natura, viene da chiedere.
Ogni normativa sociale, se guardiamo bene, va contro natura
. Nel mondo naturale il più grosso mangia il più piccolo, il più robusto schiavizza il più debole, le madri si accoppiano con i figli, i padri con le figlie, i fratelli con le sorelle. In natura non esiste morale, se per morale intendiamo prescrizioni che gli uomini si scelgono per vivere nello stesso Paese, nella stessa città, nella stessa casa, senza scannarsi a vicenda. Proprio per difendere la famiglia artificiale creata dall'uomo, sono state stabilite discipline che impediscono il vivere selvaggio del nucleo originale: l'incesto per esempio, presente in tutte le specie, anche nell'uomo, addirittura ammesso in certe circostanze storiche — vedi gli antichi egiziani — è stato proibito, come racconta bene Malinowski, per permettere alle prime tribù di espandersi, andare a cercare altre tribù, intrecciare rapporti e quindi aprire scambi di idee, di conoscenze, di esperienze.
Se per etica intendiamo i regolamenti che una società stabilisce per vivere meglio insieme, evitando le grandi ingiustizie, punendo i trasgressori e aiutando i più deboli, certo l'etica non è un prodotto della natura ma una difficile e nobile prassi che l'uomo avoca a sé, in nome di un Dio che sceglie di applicare la giustizia, concetto assolutamente contrario alla natura. La giustizia a volte sembra un'utopia, ma ciò che rende umani gli uomini è proprio il continuo ossessivo tentativo di sostituire la crudeltà brutale delle cose con una voglia di comunità, di uguaglianza, di fraternità. Ogni volta che la natura crea un disastro, l'uomo cerca di rimediare. Perché la natura vuole sì la riproduzione dell'uomo, ma spesso e volentieri solleva le sue forze devastatrici che distruggono con un solo colpo migliaia di corpi umani.Anche l'omosessualità esiste in natura, come dimostrano tanti popoli che l'hanno ammessa e praticata legalmente. Eppure spesso è stata proibita, soprattutto quando c'era pericolo di estinzione per un popolo, quando metà dei figli morivano di malattia e c'era un bisogno assoluto di braccia da lavoro. Con la crescita di un certo benessere e con la sovrappopolazione, cambiano le prospettive e l'intolleranza diminuisce.
Certo la natura, quando vuole riprodursi, accoppia due persone di sesso opposto. Ma poiché abbiamo guastato e corrotto l'aria che respiriamo e l'acqua che beviamo, gli uomini soffrono sempre più di sterilità. E per ovviare a un dato naturale — la sterilità — le società avanzate hanno inventato l'adozione, che non esiste in natura, hanno inventato la riproduzione assistita che aiuta coloro che vogliono avere figli, a farli.
Infine potremmo anche chiederci cosa c'è di naturale nella castità dei preti. Nessuno mette in discussione la legittimità della loro scelta, ma ciò non dà diritto a chi preferisce la verginità, di decidere come gli altri, uomini e donne, debbano vivere la propria sessualità.Cosa c'è di naturale nell'educazione? Nei libri? Nelle scuole? Nella scienza? E perfino nella monogamia? L'uomo per natura è poligamo, come lo sono la maggioranza degli animali. Anche le donne per natura sono probabilmente molto più poliandriche di quanto si pensi. Eppure la civiltà ha scelto la monogamia proprio per difendere quella famiglia del tutto artificiale che si oppone, per ragioni morali, e quindi non naturali, allo sperpero e al caos. Insomma un poco più di prudenza nell'uso della parola natura perché può rivoltarsi contro chi la usa. E' l'uomo ad aver costituito una struttura «artificiale» per difendersi da disastri e disordine.

domenica 25 marzo 2007

Scegliere la pace

David Grossman | da LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA, Numero 99 del 12.11.2006
 
Il ricordo di Yitzhak Rabin e' un momento di pausa in cui riflettiamo anche su noi stessi. Quest'anno la riflessione non e' per noi facile. C'e' stata una guerra. Israele ha messo in mostra una possente muscolatura militare dietro la quale ha pero' rivelato debolezza e fragilita'. Abbiamo capito che la potenza militare in mano nostra non puo', in fin dei conti, garantire da sola la nostra esistenza. Abbiamo soprattutto scoperto che Israele sta attraversando una crisi profonda, molto piu' profonda di quanto immaginassimo, una crisi che investe quasi tutti gli aspetti della nostra esistenza. Parlo qui, stasera, in veste di chi prova per questa terra un amore difficile e complicato, e tuttavia indiscutibile.
Come chi ha visto trasformarsi in tragedia, in patto di sangue, il patto che aveva sempre mantenuto con essa. Io sono laico, eppure ai miei occhi la creazione e l'esistenza stessa di Israele sono una sorta di miracolo per il nostro popolo, un miracolo politico, nazionale e umano; e io non lo dimentico neppure per un istante. Anche quando molti episodi della nostra realta' suscitano in me indignazione e sconforto, anche quando il miracolo si frantuma in briciole di quotidianita', di miseria e di corruzione, anche quando la realta' appare una brutta parodia del miracolo, esso per me rimane tale.
"Guarda o terra, quanto abbiamo sprecato", scriveva il poeta Shaul Tchernikovsky nel 1938 lamentandosi del fatto che nel suolo della terra di Israele venivano seppelliti ragazzi nel fiore degli anni. La morte di giovani e' uno spreco terribile, lancinante. Ma non meno terribile e' che Israele sprechi in modo criminale non solo le vite dei suoi figli ma anche il miracolo di cui e' stato protagonista, l'opportunita' grande e rara offertagli dalla storia, quella di creare uno stato illuminato, civile, democratico, governato da valori ebraici e universali. Uno stato che sia dimora nazionale, rifugio e anche luogo che infonda un nuovo senso all'esistenza ebraica. Uno stato in cui una parte importante e sostanziale della sua identita' ebraica, della sua etica ebraica, sia mantenere rapporti di completa uguaglianza e di rispetto con i suoi cittadini non ebrei.
E guardate cosa e' successo. Guardate cosa e' successo a una nazione giovane, audace, piena di entusiasmo. Guardate come, quasi in un processo di invecchiamento accelerato, Israele e' passato da una fase di infanzia e di giovinezza, a uno stato di costante lamentela, di fiacchezza, alla sensazione di aver perso un'occasione. Com'e' successo? Quando abbiamo perso la speranza di poter vivere un giorno una vita migliore? E come possiamo oggi rimanere a guardare, come ipnotizzati, il dilagare della follia, della rozzezza, della violenza e del razzismo in casa nostra? Com'e' possibile che un popolo dotato di energie creative e inventive come il nostro, che ha saputo risollevarsi piu' volte dalle ceneri, si ritrovi oggi, proprio quando possiede una forza militare tanto grande, in una situazione di inerzia e di impotenza? Situazione in cui e' nuovamente vittima, ma questa volta di se stesso, dei suoi timori, della sua disperazione e della sua miopia.
 

 


 

 
Uno degli aspetti piu' gravi messi in luce dalla guerra e' che attualmente non esiste un leader in Israele. Che la nostra dirigenza politica e militare e' vuota di contenuto. E non mi riferisco agli evidenti errori commessi nella conduzione della guerra o all'abbandono delle retrovie a se stesse. Non mi riferisco nemmeno agli episodi di corruzione, grandi e piccoli, agli scandali, alle commissioni d'inchiesta.
Mi riferisco al fatto che chi ci governa oggi non e' in grado di far si' che gli israeliani si rapportino alla loro identita' e tanto meno agli aspetti piu' sani, vitali e fecondi di essa; non agli elementi della loro memoria storica che possano infondere in loro forza e speranza, che li incoraggino ad assumersi responsabilita' gli uni nei confronti degli altri e diano un qualsiasi significato alla sconfortante e spossante lotta per l'esistenza. La maggior parte dei leader odierni non e' in grado di risvegliare negli israeliani un senso di continuita' storica e culturale. O di appartenenza a uno schema di valori chiaro, coerente e consolidato negli anni. I contenuti principali di cui l'odierna dirigenza israeliana riempie il guscio del suo governo sono la paura da un lato e la creazione di ansie dall'altro, il miraggio della forza, l'ammiccamento al raggiro, il misero commercio di tutto cio' che ci e' piu' caro.
In questo senso non sono dei veri leader. Certo non i leader di cui un popolo tanto disorientato e in una situazione tanto complessa come quella israeliana ha bisogno. Talvolta pare che l'eco del pensiero dei nostri leader, la loro memoria storica, i loro ideali, tutto quello che e' veramente importante per loro, non oltrepassi il minuscolo spazio esistente tra due titoli di giornale. O le pareti dell'ufficio del procuratore generale dello Stato. Osservate chi ci governa. Non tutti, naturalmente, ma troppi fra loro. Osservate il loro modo di agire, spaventato, sospettoso, affannato; il loro comportamento viscido e intrigante. Quando e' stata l'ultima volta che il Primo Ministro ha espresso un'idea o compiuto un passo in grado di spalancare un nuovo orizzonte agli israeliani? Di prospettare loro un futuro migliore? Quando mai ha intrapreso un'iniziativa sociale, culturale, morale, senza limitarsi a reagire scompostamente a iniziative altrui?
 

 


 

 
Signor Primo Ministro. Non parlo spinto da un sentimento di rabbia o di vendetta. Ho aspettato abbastanza per non reagire mosso dall'impulso del momento. Questa sera lei non potra' ignorare le mie parole sostenendo che "Non si giudica una persona nel momento della tragedia".
E' ovvio che sto vivendo una tragedia. Ma piu' di quanto io provi rabbia, provo dolore. Provo dolore per questa terra, per quello che lei e i suoi colleghi state facendo. Mi creda, il suo successo e' importante per me perche' il futuro di noi tutti dipende dalla sua capacita' di agire. Yitzhak Rabin aveva imboccato il cammino della pace non perche' provasse grande simpatia per i palestinesi o per i loro leader. Anche allora, come ricordiamo, era opinione generale che non avessimo un partner e che non ci fosse nulla da discutere con i palestinesi. Rabin si risolse ad agire perche' capi', con molta saggezza, che la societa' israeliana non avrebbe potuto resistere a lungo in uno stato di conflitto irrisolto. Capi', prima di molti altri, che la vita in un clima costante di violenza, di occupazione, di terrore, di ansia e di mancanza di speranza, esigeva un prezzo che Israele non avrebbe potuto sostenere. Tutto questo e' vero anche oggi, ed e' ancora piu' impellente.
 

 


 

 
Da piu' di un secolo ormai viviamo in uno stato di conflitto. Noi, cittadini di questo conflitto, siamo nati nella guerra, siamo stati educati nella guerra e, in un certo senso, siamo stati programmati per la guerra. Forse per questo pensiamo talvolta che questa follia in cui viviamo ormai da cento anni sia l'unica, vera realta'. L'unica vita destinata a noi e che non abbiamo la possibilita', o forse neppure il diritto, di aspirare a una vita diversa: vivremo e moriremo con la spada e combatteremo per l'eternita'.
Forse per questo siamo cosi' indifferenti al totale ristagno del processo di pace. Forse per questo la maggior parte di noi ha accettato con indifferenza il rozzo calcio sferrato alla democrazia dalla nomina di Avigdor Lieberman a ministro, un potenziale piromane posto a capo dei servizi statali responsabili di spegnere gli incendi. Questi sono anche, in parte, i motivi per cui, in tempi brevissimi, Israele e' precipitato nell'insensibilita', nella crudelta', nell'indifferenza verso i deboli, verso i poveri, verso chi soffre, verso chi ha fame, verso i vecchi, i malati, gli invalidi, il commercio di donne, lo sfruttamento e le condizioni di schiavitu' in cui vivono i lavoratori stranieri e verso il razzismo radicato, istituzionale, nei confronti della minoranza araba. Quando tutto questo accade con totale naturalezza, senza suscitare scandali ne' proteste, io comincio a pensare che anche se la pace giungera' domani, anche se un giorno torneremo a una situazione di normalita', abbiamo forse gia' perso l'opportunita' di guarire.
 

 


 

 
La tragedia che ha colpito me e la mia famiglia non mi concede privilegi nel dibattito politico ma ho l'impressione che il dover affrontare la morte e la perdita di una persona cara comporti anche una certa lucidita' e chiarezza di sguardo, per lo meno per quanto riguarda la distinzione tra cio' che e' importante e cio' che e' secondario, tra cio' che e' possibile ottenere e cio' che e' impossibile. Tra la realta' e il miraggio.
Ogni persona di buon senso in Israele - e aggiungo, anche in Palestina - sa esattamente quale sara', a grandi linee, la soluzione del conflitto tra i due popoli. Ogni persona di buon senso e' anche consapevole in cuor suo della differenza tra sogno e aspirazione e cio' che e' possibile ottenere alla fine di un negoziato. Chi non lo sa, arabo o ebreo che sia, non e' gia' piu' un possibile interlocutore, e' prigioniero di un fanatismo ermetico e non e' quindi un possibile partner. Consideriamo un attimo il nostro partner. I palestinesi hanno scelto come loro guida Hamas che rifiuta di negoziare con noi e di riconoscerci. Cosa si puo' fare in una situazione simile? Cos'altro ci rimane da fare? Continuare a soffocarli? A uccidere centinaia di palestinesi a Gaza, per la maggior parte semplici cittadini come noi?
 

 


 

 
Si rivolga ai palestinesi, signor Olmert. Si rivolga a loro al di sopra delle teste di Hamas. Si appelli ai moderati, a chi si oppone, come lei e me, a Hamas e alla sua strada. Si appelli al popolo palestinese. Non si ritragga dinanzi alla sua ferita profonda, riconosca la sua continua sofferenza.
Lei non perdera' nulla, e neppure Israele, in un futuro negoziato. Solo i cuori si apriranno un poco gli uni agli altri, e questa apertura racchiudera' in se' una forza enorme. In una simile situazione di immobilita' e di ostilita' la semplice compassione umana possiede la forza di una cataclisma naturale.
Per una volta tanto guardi i palestinesi non attraverso il mirino di un fucile o da dietro le sbarre chiuse di un check point. Vedra' un popolo martoriato non meno di noi. Un popolo conquistato, oppresso e senza speranza. E' ovvio che anche i palestinesi sono colpevoli del vicolo cieco in cui ci troviamo. E' ovvio che anche loro sono ampiamente responsabili del fallimento del processo di pace. Ma li guardi un momento con occhi diversi. Non solo gli estremisti fra loro. Non solo chi ha stretto un patto di interesse con i nostri estremisti. Guardi la maggior parte di questo povero popolo il cui destino e' legato al nostro, che lo si voglia o no.
 

 


 

 
Si rivolga ai palestinesi, signor Olmert, non continui a cercare ragioni per non dialogare con loro. Ha rinunciato all'idea di un nuovo ritiro unilaterale, e ha fatto bene. Ma non lasci un vuoto che verrebbe immediatamente colmato dalla violenza e dalla distruzione. Intavoli un dialogo. Avanzi una proposta che i moderati (e fra loro sono piu' di quanto i media ci mostrino) non possano rifiutare. Lo faccia, in modo che i palestinesi possano decidere se accettarla o se rimanere ostaggi dell'Islam fanatico. Presenti loro il piano piu' coraggioso e serio che Israele e' in grado di proporre. La proposta che agli occhi di ogni israeliano e palestinese sensato contenga il massimo delle concessioni, nostre e loro. Non stia a discutere di bazzecole. Non c'e' tempo.
Se tentennera', fra poco avremo nostalgia del dilettantismo del terrorismo palestinese. Ci batteremo il capo urlando: come abbiamo potuto non fare ricorso a tutta la nostra elasticita' di pensiero, a tutta la creativita' israeliana, per strappare i nostri nemici dalla trappola in cui si sono lasciati cadere? Proprio come ci sono guerre combattute per mancanza di scelta, c'e' anche una pace che si rincorre per "mancanza di scelta". Non abbiamo scelta, ne' noi ne' loro. E dobbiamo aspirare a questa pace forzosa con la stessa determinazione e creativita' con cui partiamo per una guerra forzosa. Perche' non c'e' scelta e chi ritiene che ci sia, che il tempo giochi a nostro favore, non capisce i processi pericolosi in cui gia' ci troviamo.
 

 


 

 
E piu' in generale, signor Primo Ministro, forse dovremmo rammentarle che se un qualsiasi leader arabo invia segnali di pace - anche impercettibili e titubanti - lei ha il dovere morale di rispondere. Ha il dovere di verificare immediatamente l'onesta' e la serieta' di quel leader. Deve farlo per coloro ai quali chiede di sacrificare la vita nel caso scoppi una nuova guerra. E quindi, se il presidente Assad dice che la Siria vuole la pace - per quanto lei non gli creda e tutti noi nutriamo sospetti nei suoi confronti - deve offrirgli di incontrarlo subito. Senza aspettare nemmeno un giorno. In fondo, non ha aspettato nemmeno un'ora a dare inizio all'ultima guerra. Si e' lanciato nell'offensiva con tutte le sue forze. Con tutte le armi a disposizione e tutta la loro potenza distruttiva.
Allora perche' quando c'e' un segnale di pace lei si affretta a respingerlo, a lasciarlo svanire? Cos'ha da perdere? Nutre forse dei sospetti nei confronti del presidente siriano? Allora gli presenti delle condizioni tali da rivelare la sua macchinazione. Gli proponga un processo di pace che duri qualche anno e alla fine del quale, se tutte le condizioni e le restrizioni verranno rispettate, gli verranno restituite le alture del Golan. Lo costringa al dialogo. Agisca in modo che nella coscienza del popolo siriano si delinei anche questa possibilita'. Dia una mano ai moderati, che sicuramente esistono anche lassu'. Cerchi di plasmare la realta'...
E' stato eletto per questo. Esattamente per questo.
 

 


 

 
E in conclusione. E' ovvio che non tutto dipende da noi e ci sono forze grandi e potenti che agiscono in questa regione e nel mondo e alcune di loro - come l'Iran e come l'Islam radicale - non hanno buone intenzioni nei nostri confronti. Eppure molto dipende da come agiremo noi, da cio' che saremo. Attualmente non esiste grande disparita' tra la sinistra e la destra. La stragrande maggioranza degli israeliani capisce ormai - per quanto alcuni senza troppo entusiasmo - quale sara' a grandi linee la soluzione del conflitto: questa terra verra' divisa, sorgera' uno stato palestinese. Perche', quindi, continuare a sfibrarci in una querelle intestina che dura da quasi quarant'anni? Perche' la dirigenza politica continua a rispecchiare le posizioni dei radicali e non quelle della maggior parte degli elettori? Dopo tutto la nostra situazione sarebbe migliore se raggiungessimo un'intesa nazionale prima che le circostanze - pressioni esterne, una nuova Intifada o una nuova guerra - ci costringano a farlo. Se lo faremo risparmieremo anni di sangue versato e di spreco di vite umane. Anni di terribili errori. Mi appello a tutti, ai reduci dalla guerra che sanno che dovranno pagare il prezzo del prossimo scontro armato, ai sostenitori della destra, della sinistra, ai religiosi e ai laici: fermatevi un momento, guardate l'orlo del baratro, pensate a quanto siamo vicini a perdere quello che abbiamo creato. Domandatevi se non sia arrivata l'ora di scuoterci dalla paralisi, di fare una distinzione tra cio' che e' possibile ottenere e cio' che non lo e', di esigere da noi stessi, finalmente, la vita che meritiamo di vivere.

sabato 24 marzo 2007

Borghesi

Quand’ero piccolo non stavo mica bene
ero anche magrolino, avevo qualche allucinazione
e quando andavo a cena, nel tinello con il tavolo di noce
ci sedevamo tutti e facevamo il segno della croce.

[Parlato] Dopo un po’ che li guardavo mi si trasformavano: i gesti preparati, degli attori, attori consumati che dicono la battuta e ascoltano l’effetto. Ed io ero lì come una comparsa, vivevo la commedia, anzi no la farsa, e chissà perché durante questa allucinazione mi veniva sempre in mente una stranissima canzone:

I borghesi son tutti dei porci
più sono grassi più sono lerci
più son lerci e più c’hanno i milioni
i borghesi son tutti…

Quand’ero piccolo non stavo mica bene
ero anche molto magro, avevo sempre qualche allucinazione
e quando andavo a scuola mi ricordo di quel vecchio professore
bravissima persona che parlava in latino ore e ore.

[Parlato] Dopo un po’ che lo guardavo mi si trasformava, sì, la bocca si chiudeva stretta, lo sguardo si bloccava, il colore scompariva, fermo, immobile, di pietra, sì, tutto di pietra, e io vedevo già il suo busto davanti a un’aiuola con su scritto: "Professor Malipiero – una vita per la scuola", e chissà perché anche durante questa allucinazione mi veniva sempre in mente una stranissima canzone:

I borghesi son tutti dei porci
più sono grassi più sono lerci
più son lerci e più c’hanno i milioni
i borghesi son tutti…

Adesso che son grande ringrazio il Signore
mi è passato ogni disturbo senza bisogno neanche del dottore
non sono più ammalato, non capisco cosa mi abbia fatto bene
sono anche un po’ ingrassato, non ho più avuto neanche un’allucinazione.

[Parlato] Mio figlio, mio figlio mi preoccupa un po’, è così magro, e poi ha sempre delle strani allucinazioni, ogni tanto viene lì, mi guarda e canta, canta un canzone stranissima che io non ho mai sentito:

I borghesi son tutti dei porci
più sono grassi e più sono lerci
più son lerci e più c’hanno i milioni
i borghesi son tutti…
mah!

Gaber / Luporini: Brano rielaborato dall'omonima canzone di Jacques Brel.

giovedì 22 marzo 2007

HowTo upgrade a Sap instance

Premessa

Questa documentazione descrive quali sono gli step generali che si devono obbligatoriamente seguire per eseguire un upgrade con successo di una release di SAP

  • Passi Preliminari

Qui vengono descritti i passi preliminari con un ordine specifico da seguire prima di arrivare alla esecuzione delle fasi di prepare dell’upgrade

a) identificazione di release di partenza e di arrivo

b) reperire il manuale di upgrade alla release di arrivo

c) check delle note in esso contenute e dei relativi rimandi ad altre note

d) particolare attenzione al livello di support package attuali, se sono particolarmente elevati nel sistema di arrivo si deve studiare un livello di patch da inserire durante l’upgrade per prevenire problemi di perdita di correzioni utili

e) Non consentire di modificare il livello di support package di produzione DOPO aver eseguito l’upgrade nel sistema di TEST al fine di non trovarsi in una situazione inaspettata

f) porre attenzione alla release del database richiesto per eseguire correttemente la fase di prepare

g) Documentare OPPORTUNAMENTE qualsiasi passo di preparazione per non trovarsi spiazzati nell’upgrade di produzione

  • Passi di preparazione

In un landscape standard SVILUPPO-TEST-PRODUZIONE il modo corretto di procedere e’

1) refresh ambiente di produzione sull’ambiente di TEST. Pareggiamento profili d’istanza con i parametri presenti nella produzione per avere il piu’ possibile un ambiente speculare alla produzione. Tenere conto delle risorse del sistema di test per la parametrizzazione dei buffer SAP e parametrizzazione Oracle.

2) Adeguamento parametrizzazione Sistema Operativo secondo gli ultimi dettami SAP e soprattutto se il sistema operativo e’ supportato per la release di arrivo sia di SAP che di oracle

3) Accertarsi di avere tutte le librerie specifiche richieste dall’upgrade e di avere un release di java installata, funzionante ed il cui path e’ presente nel path dell’utente [sid]adm

4) Scarico delle support package richieste e relativo unpacking nella EPS/in del sistema in questione. Molte procedure di upgrade richiedono anche di inserire nella EPS/in sia la SPAM update del sistema di arrivo che quella di partenza. Per quest ultima e’ opportuno caricarla prima della partenza della prepare

5) Scaricare sempre l’ultima versione del tool di upgrade (R3up SAPup etc etc ) da porre nella /bin e di conseguenza anche le relative FIX . Devono essere ENTRAMBE all’ultima versione.

6) Scaricare i CD possibilmente in un'unica cartella e o filesystem denominando ogni singolo CD con una nomenclatura di facile interpretazione (eg KERNELCD , EXPORT1 , LANG1 etc etc )

7) Porre attenzione ad eventuali script ( in particolare per oracle) che possano accelerare alcune fasi di upgrade. Al termine dell’upgrade eseguire gli script di ripristino della situazione esistente

8) Predisporre sempre un backup offline del DB , dei file di environment di SIDADM (nel caso di sistemi windows fare backup anche del registry) , e del kernel PRIMA di partire con la PREPARE e prima anche del lancio dell’UPGRADE .

  • Passi di esecuzione PREPARE

1) Creare una upgrade directory di almeno 7 GB . Posizionarsi nella upgrade directory e da li' lanciare il PREPARE . Dopo questo lancio dare l’exit , sostiture nella bin il nuovo tool di trasporto e rilanciare la procedura .

2) Far chiudere tutte le CR in stato modificabile sul sistema ed aprire il customizing da SCC4 . Lasciarlo aperto per tutto il periodo dell’upgrade

3) Eseguire backup della tabella dei WAGE TYPE (buste paga) come richiesto da molti manuali di upgrade

4) Essere in possesso delle password di DDIC sul client 000 e SYSTEM, fondamentali per le fasi di input iniziali. Da NON modificare durante nessuna fase dell’upgrade. Puo’ accadere che in alcune fasi dell’upgrade sia richiesto il logon con DDIC e compaia un prompt di modifica password. In tal caso re-imputare la stessa.

5) Eseguire TUTTE le fasi della PREPARE, comprese quelle opzionali, e porre particolare attenzione alle fase opzionali di salvataggio delle varianti. Si consiglia per queste fasi di SALVARE tutto il possibile . Per i sistemi BW questa fase e’ fondamentale visto che molte query BW vengono reintrodotte proprio con le fasi finali dell’upgrade.

6) Una delle fasi piu’ delicate e’ la BIND_PATCH. Nelle release piu’ recenti SAP molti plug-in sono gia’ inseriti nei CD standard di SAP e quindi a fronte della dicitura INST/UPG WITH STD CD il SAPup (o R3up) ha GIA’ trovato come procedere per questi plug-in e quindi dare semplicemente OK alla fase (senza flaggare nulla). Se dovesse comparire una dicitura del tipo UNDECIDED in tal caso bisogna scaricare il .SAR relativo da OSS e caricarlo nella EPS/in e procedere all’upgrade mediante SAINT. Non far cancellare il plug-in all’upgrade. Sono ASSOLUTAMENTE critici i PI e gli ST-PI che, se cancellati durante l’upgrade, rendono inconsistente l’upgrade stesso. Leggere le note relative, utilizzare come chiave “upgrade with PI “. A margine delle note principali in genere c’è sempre un rimando.

7) Aggiornare sempre le statistiche del DB ponendo attenzione alla modalita particolare con cui il brconnect ad esempio deve essere lanciato per l’oracle 10

  • Passi dell’upgrade .

1) Eseguire sempre backup OFFLINE dell’istanza e della UPGDIR prima del lancio dell’upgrade.

2) Non modificare alcun input delle fasi di prepare e mettere Db in NOARCHIVE MODE

3) A fronte di un errore non documentato esaminare il log della fase nella upgdir/log e/o tmp . Tentare un rilancio della fase.

4) In caso di errori particolari cercare la fase (nome tecnico, descrizione) su SAPOSS, SDN, Motori di ricerca.

5) Porre molta attenzione all’analisi del LONGPOST

  • Passi post-upgrade

1) Eseguire backup offline al termine dell’upgrade

2) cancellare le tablespace della vecchia release

3) seguire tutti i passi richiesti dal manuale come post-action

4) ricordarsi di reimportare le entries della tabella dei wage types come richiesto dal manuale

Diritti

Due parole sui diritti innati e sul diritto naturale.
 
Se ne è scritta nei secoli un'immensa biblioteca e non sarò certo io a risollevare questa questione in un articolo. Soltanto qualche breve riflessione. Il solo, l'unico diritto innato deriva dall'ente, che esiste e vuole esistere. Nel caso della nostra specie quell'ente si chiama persona, quali che siano i tanti significati che si danno a questa parola. In latino persona significa maschera. Per noi significa individuo, infinitesima parte di una specie, anch'essa individuata tra la moltitudine delle specie. Il diritto dell'individuo persona ad esistere è innato, proviene dalla natura che lo fornisce anche alle altre specie e agli individui che le compongono, ciascuno dei quali, dall'albero al falcone alla persona dotata di mente, vuole, disperatamente vuole esistere e adopera tutti gli strumenti che la natura gli ha fornito per esistere.
Per soddisfare questo diritto "biologico" l'individuo entra necessariamente in conflitto con tutto ciò che lo circonda, con l'obiettivo, per lui primario, di guadagnare e preservare lo spazio di cui ha bisogno. Le radici di due alberi nati troppo vicini tra loro si disputeranno il terreno da cui traggono alimento e la luce che gli serve per la fotosintesi senza la quale appassirebbero. E se lo spazio è troppo ristretto uno dei due finirà col morire diventando uno stecco senza più fronde nè linfe. A maggior ragione ciò si vede nel regno animale ed in quello degli uomini. Ho sentito l'altra sera il nostro telepredicatore nazionale esaltare l'innocenza dei bambini, il loro candore, la loro innata bontà.
L'età dell'oro, insomma. Ma è falso. E' un falso luogo comune. Il bambino è certamente innocente, ha mangiato soltanto i frutti dell'albero della vita e non ancora quelli della conoscenza. Nè sa che cosa sia il peccato. Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d'ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sè l'attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri.
Questo è l'istinto primordiale, innato, esclusivo. E spetta a chi li educa insegnare a contenere l'istinto primordiale, a rispettare gli altri, la roba degli altri e addirittura a condividere la propria con gli altri.
 
Questa disponibilità non è affatto innata ma indotta. Dalla cultura, dall'insegnamento degli adulti. E, infine, poichè quell'istinto primordiale ci accompagna fino alla morte, educare e al bisogno limitarlo, spetta alle leggi sulle quali si fonda la Città terrena. I cui fondatori e reggitori si imposero sugli altri con la violenza della scaltrezza o con quella della forza per acquistare il potere ed esercitarlo. Nessuno è stato ed è esente da questo peccato originario, fondato sull'unico diritto innato: la sopravvivenza dell'ente e il dispiegarsi della sua potenza. Il Papa, quando rispolvera il diritto naturale e lo riconduce al Creatore e chiede che le leggi e la gestione della comunità civile siano improntate alle sue indicazioni, non fa che esprimere la volontà di espansione e potenza dell'ente da lui rappresentato. Esprime attraverso comandamenti religiosi la volontà di potenza della sua religione. Non so perchè questo obiettivo sia chiamato oggi "buona laicità". Ma se un confronto ci deve essere tra la Chiesa e il mondo moderno, il dicorso e l'analisi debbono andare molto al di là delle trovate lessicali. La "buona laicità" odora da lontano di teocrazia. Non vorrei che il confronto con l'Islam ci portasse ad imitarlo nel peggio anzichè suggerire agli islamici di scoprire il meglio delle loro e delle nostre Scritture.
 
(Scalfari da Repubblica del 23.10.2005)

Lectio magistralis

SE DIO CI GUARISCE
La "lectio magistralis" del cardinal Martini che riceve oggi una laurea honoris causa
Il Nuovo Testamento racconta i miracoli di Gesù che viene presentato come guaritore
Molte volte nella Bibbia si ricorda il Signore nelle vesti di colui che cura il suo popolo e ne risana le piaghe
Della potente e misteriosa divinità ebraica non si conosce il volto ma l´agire
Di Cristo medico sta scritto: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le malattie
di Carlo Maria Martini
 
Ho un ricordo che risale a dieci anni fa. Sono le parole in ebraico del Salmo 8: «Che cosa è l´uomo perché te ne ricordi / il figlio dell´uomo perché te ne curi? Eppure l´hai fatto poco meno degli angeli, / di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi». Sono le parole che mi suggeriscono qualche riflessione su Dio guaritore. La personalità misteriosa del Dio di Israele viene espressa dalla Bibbia ebraica anzitutto con verbi di azione, poi con aggettivi e infine con sostantivi. I verbi sono quelli con cui vengono indicate le attività fondamentali di Dio a favore del suo popolo e dell´umanità, quelle che lo qualificano in maniera permanente come potente e misterioso, quelle che lo rendono presente, ma in certo senso anche lo nascondono perché non ci viene rivelato il suo volto, ma descritto il suo agire.
I verbi da tenere presente sono molteplici. Qui elenco a modo di esempio i seguenti: Dio crea la terra e l´uomo che in essa abita (Isaia 42,5-6a: «Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alle genti che la abita e l´alito a quanti camminano su di essa»); Dio fa promesse (Genesi 22,16-18: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore. io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la sua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni sulla terra»); Dio libera (Esodo 6,6: «Per questo dì agli Israeliti: Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi»); Dio riscatta e salva («Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome. Poiché io sono il Signore tuo Dio, Il Santo di Israele, il tuo salvatore»: Isaia 43,1-3); Dio comanda (Esodo 34,11: «Osserva dunque ciò che io oggi ti comando»); Dio guida (Deuteronomio 8,2: «Ricordatevi di tutto il cammino per cui il Signore vi ha guidato in tutti questi quarant´anni nel deserto.»); Dio perdona (Salmo 65,4: «Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri peccati»).
Tutti questi verbi e molti altri ancora specificano un´azione positiva di Dio verso Israele. Dio è quindi visto non come qualcuno che anzitutto sussiste in sé, nella sua indipendenza e isolamento, ma come qualcuno che opera per altri e che agisce in particolare con interventi precisi nella storia del suo popolo.
Dalla qualità e molteplicità di questi interventi si ricavano anche alcuni aggettivi, che non sono tuttavia per lo più costitutivi e «definitori» della persona, ma sono derivati dalla frequenza delle azioni indicate nei verbi. Abbiamo così la serie di aggettivi proposta in Esodo 34,6-7, in cui siamo soliti fermarci agli attributi di misericordia, dimenticando la seconda parte dell´elenco: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all´ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma che non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
I verbi indicano dunque le azioni costanti di Dio e gli aggettivi tentano di sintetizzare quest´azione costante, per quanto è possibile penetrare nel mistero di Dio, che fugge ad ogni definizione.
In terzo luogo vengono i nomi, presentati non come definizioni proprie e accurate ma come metafore del divino, derivati dai verbi e dagli aggettivi. A questi ultimi occorre dunque richiamarsi per comprendere il significato dei nomi.
Si è proposto di dividere i sostantivi in due categorie: quelli che esprimono una metafora di governo e quelli che esprimono metafore di sostegno.
I primi sono assai più importanti. Essi presentano la figura del giudice, del re, del guerriero, del padre. Le metafore di sostegno sono meno frequenti e presentano soprattutto Dio come colui che ha cura, mantiene, nutre, sorregge il 7-8), come giardiniere e vignaiolo, come madre, come pastore e anche come guaritore.
Quest´ultima metafora non è molto presente, ma la si trova in vari contesti nodali. Essa appare per esempio in Deuteronomio 32,39; Osea 6,1; Esodo 15,26. Una tale qualifica di Dio viene esercitata non come distacco, ma con pathos (Geremia 3,22; 8,22).
Dio guarisce in profondità e non alla leggera, come fanno alcuni profeti o sacerdoti («Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: «Bene, Bene» ma bene non va»: Geremia 8,11). Tale azione di Dio suppone un contesto di sincerità e non di menzogna o di reticenza (Salmo 32,3-5: «Tacevo e si logoravano le mie ossa. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto «Confesserò al Signore le mie colpe» e tu hai rimesso la malizia del mio peccato»).
L´Antico Testamento conosce anche i limiti di questa capacità di guarire, e questo in particolare quando la persona o il popolo resistono all´azione di Dio. Si veda Geremia 51,5-6: «All´improvviso Babilonia è caduta, è stata infranta; alzate la mente su di essa; prendete balsamo per il suo dolore, forse potrà essere guarita.
Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese; poiché la sua punizione giunge fino al cielo e si alza fino alle nubi». Viene subito in mente il passo dei vangeli che descrive la visita di Gesù alla sua città di Nazaret: «E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità (Matteo 13,58).
Una caratteristica di Dio guaritore nella Scrittura è che egli non si limita ad alcuni interventi di guarigione, ma pone questa sua azione nel complesso di tutto il suo agire per il popolo, sia direttamente come per mezzo dei suoi intermediari: re, sacerdoti, profeti etc. e delle istituzioni preposte al benessere di Israele, come la Toràh etc. Così anche nel nostro tempo la guarigione non è ipoteca solo di alcuni specializzati, neppure soltanto dei medici, ma si compie nell´insieme di una società che promuove l´uomo e ogni suo aspetto positivo, fino a quello che riguarda la verità e l´autenticità profonda dell´esistenza, a cui è legato anche il senso pieno del nostro benessere.
Nel nuovo Testamento la qualifica di Gesù come medico è certamente più presente, perché Gesù è caratterizzato, soprattutto nella prima parte della sua azione pubblica, come grande guaritore. Perciò i riferimenti alla sua azione sono numerosi. Si veda ad esempio Marco 1,32: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni». Si veda anche Matteo 8,16: «Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Isaia, 53,4).
La sua capacità di guarire le ferite è espressa in particolare nella sua passione. La frase più commovente si trova forse nella prima lettera di Pietro, che si richiama alla profezia di Isaia già sopra citata: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più nel peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (Isaia 53,5.6; Ezechiele 34,1). Gesù stesso aveva detto, parlando di coloro che criticavano il venire a lui di molti peccatori e pubblicani, che: «non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). In ogni caso anche qui l´azione guaritrice di Gesù si pone come una parte della sua azione totale di rinnovamento della persona ed i riscatto dai suoi peccati.
Tale potenza guaritrice di Gesù è stata lasciata come dono alla sua Chiesa: «questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono. imporranno le loro mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17s). Difatti noi vediamo negli Atti degli Apostoli descritte le guarigioni operate da Pietro e da Paolo.
Gesù ha sempre impegnato la sua Chiesa ad essere vicina ai malati in tanti modi. Essa spinge oggi ad essere presenti a coloro che sono nella malattia attraverso l´aiuto anche di molti medici i infermieri, che si prendono cura dei malati con spirito evangelico e che guardano al benessere complessivo della persona.
Nel nostro tempo infatti c´è bisogno non soltanto di fare delle diagnosi precise e di indicare delle medicine efficaci. Occorre prendersi cura del malato nella sua totalità, nelle sue debolezze, nel suo bisogno di essere compreso, sostenuto, aiutato e amato. Così il medico compie un´opera che è parte di un insieme più vasto e che tuttavia si ricollega a quella di Gesù ed esprimere la cura della Chiesa per ogni persona sofferente.
 
(da Repubblica del 13.10.06)

SP-stack su NW2004s

Applicazione SP-stack su NW2004s
1. al download dello "stack" (service.sap.com/sp-stacks) voluto ricordare di scaricare anche il file di definizione xml dello stack (tasto SAVE AS)
2. copiare tutte le patch e il file di definizione xml dello stack nella EPS/in del sistema
3. settare il timeout dell'SDM opportunamente (v. Note 739190 - Timeout when starting or stopping the J2EE engine). E' possibile usare il file sdm_for_patching.bat (vedere lo script sotto) da [Drive]:\usr\sap\[SID]\[INSTANCE]\SDM\program (su WIN)
4. lanciare la JSPM (/usr/sap/[SID]/[Central instance name]/j2ee/JSPM/go)
5. installare come single support package l'aggiornamento della JSPM (normalmente selezionare l'indicatore No NWDI control)
6. rilanciare la JSPM (v. 4.)
7. installare con l'opzione support package stack (normalmente selezionare l'indicatore No NWDI control)
 
link all'help: Jspm patching
 
Troubleshooting
1.
Nel caso in cui il deploy si arresta con messaggio del tipo "Cannot start OS services, SCS instance and J2EE engine..." e' possibile sia un errore al restart dei servizi SAP dovuto alla password dell'utente SAPservice: andare sui servizi (SAP_xx) modificare la password (inserita durante l'installazione) e eseguire il restart. Da MMC fare restart dell'istanza e riprendere con il resume dalla JSPM.
 
2.
L'applicazione del pacchetto KMC-BC va in errore per un problema sull'indice KMC_AP_IHR: applicare la Note 978042 - KMC upgrade fails on Oracle - DROP INDEX 'KMC_AP_IHR'. La cosa puo' anche essere fatta in modo preventivo
 
3.
In qualche caso e' necessario applicare la Note 701654 - Deployment aborts due to wrong J2EE Engine login information (setting della pwd di Administrator dal Config Tool)
 
Allegato (sdm_for_patching.bat)
REM sdm for patching NW2004s
StopServer
sdm jstartup "mode=standalone"
sdm j2eeenginestartstop "timeoutmillisec=7200000"
sdm jstartup "mode=integrated"
StartServer

martedì 6 marzo 2007

These Days

I've been out walking
I don't do too much talking
These days, these days.
These days I seem to think a lot
About the things that I forgot to do
And all the times I had the chance to.

I've stopped my rambling,
I don't do too much gambling
These days, these days.
These days I seem to think about
How all the changes came about my ways
And I wonder if I'll see another highway.

I had a lover,
I don't think I'll risk another
These days, these days.
And if I seem to be afraid
To live the life that I have made in song
It's just that I've been losing so long.
La la la la la, la la.

I've stopped my dreaming,
I won't do too much scheming
These days, these days.
These days I sit on corner stones
And count the time in quarter tones to ten.
Please don't confront me with my failures,
I had not forgotten them.

Nico's song: