martedì 29 dicembre 2009

Abelardo ed Eloisa. Lo scrittore e l'uomo

Ludwig Feuerbach, "Abelardo ed Eloisa. Lo scrittore e l'uomo". Un'opera giovanile e anti-romantica sull'amore.
Dall'elegia Eloisa ad Abelardo di Alexander Pope al romanzo epistolare Julie ou la Nouvelle Héloïse di Rousseau, la vicenda di Abelardo ed Eloisa ha ispirato molte opere letterarie e filosofiche sul tema dell'amore. E una di queste, di mano nientemeno che del giovane Ludwig Feuerbach - il filosofo che secondo Henri de Lubac è stato "il "trasformatore" in grazia del quale Hegel si ritrova in Marx" - viene presentata per la prima volta in traduzione italiana. Si tratta di un brillante e unitario libro di aforismi filosofici che Feuerbach pubblicò nel 1834 sull'onda di un'intensa vicenda sentimentale e intellettuale, con l'intento tuttavia di proporre un messaggio universale sulla natura razionale dell'amore. Il riferimento alla grande vicenda medievale non deve trarre in inganno: Abelardo ed Eloisa sono un archetipo distante. Ai due amanti si allude infatti soltanto verso la fine del libro, quando compare una certa "Eloisa N.N.", una donna reale che s'intromette nella storia fino ad allora tutta interiore e allegorica tra l'uomo (simbolo del "corpo") e lo scrittore (simbolo dello "spirito").
Eloisa rischia di dividerli, ma essi alla fine si ricongiungeranno, tutti e tre, nel nome della reale natura dell'amore, che è quella di unire. È chiaro il rifiuto che Feuerbach oppone alla concezione romantica dell'amore come forza oscura e irrazionale, in cui si mescolano tumultuosamente pulsioni contrastanti.Al contrario, egli giunge ad esaltare l'amore come vera ratio, facendone quasi la media proporzionale tra la dimensione materiale e quella spirituale dell'uomo. Così risponde infatti lo scrittore all'uomo, dopo che quest'ultimo gli aveva riferito della sua relazione con Eloisa temendo di doversi separare da lui: "Prendi con te senza pensieri la tua Eloisa... essa occuperà sempre il posto centrale fra noi due; il più bel vincolo fra l'uomo e lo scrittore è l'amore".
Si può dire che tutto il libro ruoti attorno all'idea di mediazione, e costituisca come un tentativo di mettere in rapporto, attraverso l'amore, "grandezze" tra loro a prima vista incommensurabili: corpo e spirito, apparenza e verità, vita e libro, uomo e scrittore. Il punto per Feuerbach era superare il dualismo di fondo insito nella cultura romantica, quello tra reale e ideale, e restituire all'uomo la sua integrità. Bisogna però sottolineare che egli non pensava a un uomo imago viva dei, bensì a un uomo in qualche modo assoluto, svincolato dal trascendente. E qui si può già intuire il Feuerbach della maturità, quello che con l'Essenza del cristianesimo (1841) ridurrà la teologia ad antropologia, influenzando pensatori come Marx e Nietzsche e affermandosi come il padre dell'umanesimo ateo moderno.
L'intento antidualistico si rivela anche nella forma. Gli aforismi che compongono l'Abelardo rispondono infatti al preciso intento di togliere la filosofia dal regno della pura speculazione e avvicinarla alla vita. E in questo Feuerbach assegnava un ruolo fondamentale allo humour, che definiva "il libero docente della filosofia". La rottura con i sistemi alla Hegel era chiara. E anche questo era uno spunto dal grande futuro: si pensi alla forma che prenderanno, ad esempio, le filosofie di un Nietzsche o di un Cioran.
(v. anche sulla figura e opera dell'autore questa tesi ...)

domenica 4 ottobre 2009

Le riflessioni del conte di Shaftesbury

L' ETICA CHE NASCE DALLA SIMPATIA

Samuel Johnson nelle sue Conversazioni con Boswell si chiede cosa possa fare nella vita un uomo di scarsa fortuna, una brava persona ma senza quattrini. Il sapido scrittore settecentesco ricorda che, proprio per questa sua caratteristica, il soggetto in questione non riuscirà ad aiutare i bisognosi, meno che mai potrebbe rendersi utile offrendo consigli. Perché? Ecco la risposta: «La povertà toglierà alle sue parole efficacia: tutti vedranno che è povero mentre pochi altri soltanto si accorgeranno che è saggio: e pochi rispetteranno l' intelligenza che così poco ha giovato a chi la possiede». Battute a parte, nel passo Samuel Johnson mette una sorta di maschera a un problema che si era posto Anthony Ashley Cooper, terzo conte di Shaftesbury, morto nel 1713 a Napoli di mal sottile, le cui opere avevano lasciato visibile traccia in Inghilterra e in buona parte d' Europa. In particolare, nel Soliloquio - scritto asistematico, denso di temi, costruito sul modello dell' Ars poetica di Orazio - il pensatore si interroga proprio sull' arte di dare consigli. Tra gli intenti vi è quello di riportare la morale al suo significato originale, legata ai costumi, e di riformare il gusto. Discepolo e poi protettore di Locke, Shaftesbury affiora ogni volta che si deve discutere delle questioni morali che stabiliscono nell' uomo il senso del giusto e dell' ingiusto, che siano esse guidate dagli affetti sociali o naturali miranti al bene della specie o che si debba scoprirle riflesse nei propri interessi. Sostenitore della libertà di pensiero e di quella politica, figura tra i deisti anche se rimase un buon praticante tutta la vita. Nella Lettera sull' entusiasmo, uscita anonima a Londra nel 1708, Shaftesbury considera il termine che regge il titolo della sua operetta nell' accezione negativa di «fanatismo»: a quello religioso viene contrapposto l' affetto dell' ispirazione che egli definisce come «il vero sentimento di una presenza divina». In altre parole, il filosofo inglese lo riconduce al significato che gli diede Platone. Nel Saggio sulla virtù o merito egli scriverà che l' istinto morale è innato in noi: per questo gli uomini hanno tra loro un sentimento di simpatia, che è il vero fondamento delle norme e dei valori sociali. Il senso morale emerge da questo istinto socievole e, per tal motivo, noi possediamo una percezione immediata e intuitiva dei concetti di bene e di male. Anche se verrà accusato di «superficiale ottimismo», forse per quel suo avversare talune concezioni di Hobbes, forse perché non ammetteva che fosse esistito uno stato di natura anteriore a quello di civiltà, dove l' uomo non si sarebbe associato ad altri uomini, Shaftesbury offre basi e terminologia per le dispute etiche del Settecento. In esse parole quali egoismo e simpatia saranno costantemente invocate e dibattute, soprattutto utilizzate per i più astrusi quesiti etici e psicologici. Da qui partirà Joseph Butler, filosofo e vescovo (persino cappellano di casa reale), che nel cercare la complementarità di natura e rivelazione si chiederà in più pagine «cosa mai possa essere l' egoismo». E ancora da tali questioni prenderà le mosse David Hume, che trasformerà il quesito nella ricerca di «cosa mai possa essere l' io». Oggi, tempo di etiche che vanno e vengono, Shaftesbury torna d' attualità e potrebbe alleviare le sofferenze causate dagli sforzi compiuti per orientarsi in quelle discussioni che tengono banco, oscillanti tra laicismo e altruismo non religioso e cose simili. Per tal motivo va segnalata la raccolta del «conte di Shaftesbury» Scritti morali e politici, curata da Angela Taraborrelli (Utet, pp. 628, 92), uscita nei «Classici della Filosofia», la collana diretta da Tullio Gregory. È, d' altra parte, quanto di meglio sia apparso in Italia sul filosofo inglese dopo il benemerito volume dei Saggi morali, raccolti da Paolo Casini per Laterza nel 1962. Fatti questi brevi cenni, è bene chiudere con la sua più ottimistica affermazione, contenuta in Sensus communis: «Ogni bellezza è verità». Certo, il terzo conte di Shaftesbury non sospettava che Hume nei suoi Saggi l' avrebbe corretto: «La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla»

di Torno Armando (4 giugno 2008 - Corriere della Sera)

sabato 3 ottobre 2009

italiani non all'italiana

Dice la signorina D'Addario, a proposito del mercatino erotico-politico del quale e' azionista (molto di minoranza), che "In Italia lo fanno tutti". Da un pulpito molto piu' autorevole, e dunque molto piu' sgradevole, Daniel Cohn-Bendit aggiunge che "tutti i maschi italiani vorrebbero fare come Berlusconi".
Beh, francamente, girano le scatole. E girano parecchio. C'e' una marea di italiani che non ha mai avuto non dico la necessita', ma neppure la curiosita' di frequentare la D'Addario e le sue socie e piuttosto che "fare come Berlusconi" farebbe l'orango in uno zoo. Bisognerebbe, per amore di dignita' e di verita', organizzare una controffensiva degli italiani non all'italiana, delle italiane che non fanno come la D'Addario e degli italiani che non fanno come Berlusconi. Ci vorrebbe una T-shirt capace di contenere le scritte necessarie per chiarire almeno alcuni dei distinguo che urge manifestare, da "non pago le signorine" a "non mi paga Berlusconi", da "sono del Nord ma non c'entro niente con la Lega" a "sono libero professionista ma pago le tasse" a "sono meridionale ma odio l'assistenzialismo". Solo che non basterebbe una maglietta XXXL.
Michele Serra

venerdì 2 gennaio 2009

Panikkar

*) Raimon Panikkar
(Copyright © Dialegesthai 2007 -- Serena Barotti)
Raimon Panikkar incarna armoniosamente l'incontro osmotico e fecondante di due culture opposte e complementari. Nato a Barcellona il 3 novembre del 1918 da madre catalana e padre originario del Kerala, uno stato del sud dell'India, fin dai primi anni di vita subì l'influenza di una rigorosa educazione cattolica ammorbidita e controbilanciata dal pensiero hinduista. Il suo mondo si è integrato ed ampliato in seguito ai continui soggiorni in India, America Latina, Stati Uniti, Italia e Germania. Le sue convinzioni e il suo retaggio culturale sono stati continuamente «spazzati», messi in discussione, esposti al vento del confronto culturale, dell'incontro con la diversità. Gettato in questo turbinio continuo d'esperienze decentranti, Raimon Panikkar racconta di aver trovato un punto d'intersezione, una linea di mediazione raccordante nella propria vita interiore, nella coscienza, che ha subito il passaggio rigenerante ad un grado di consapevolezza superiore, espansa, capace di vedere ed accettare la relatività e la relazionalità propria del Reale. Per l'Autore, soltanto questo tipo di consapevolezza riesce a svelare la costitutiva tridimensionalità dell'Essere rivelando l'insufficienza di ogni pensiero assolutizzante e mono-tono, ed è in grado di liberare l'uomo dalla piccolezza del proprio egocentrismo. La realtà ha tre dimensioni; così ogni antropologia che voglia rispettare la natura reale dell'essere umano dovrà risultare necessariamente tripartita. Ordinato sacerdote cattolico, laureato in filosofia, teologia e chimica, questa tridimensionalità si può dire connaturata al pensiero dell'Autore che sostiene di non essere mai riuscito, nel suo desiderio di un abbraccio integrante al Reale, ad escludere nessuna di queste tre dimensioni vitali: né dunque la dimensione dell'Uomo (la filosofia), né quella del Mondo (la chimica), né tanto meno quella di Dio (la teologia). Raimon Panikkar è spesso presentato come una figura «religiosa» internazionale. Da molti considerato un «guru», un maestro spirituale, soprattutto a causa del suo incessante parlare della necessità di un dialogo inter-religioso, del suo invito all'approccio mistico e della sua ricerca di una via per una pace possibile, ha conquistato il «grande pubblico» grazie al proprio carisma personale, che gli ha procurato l'appellativo di «costruttore» di «ponti» e di «arcobaleni» interculturali. Eppure, chi non si sia fermato alla superficie, incantato e appagato da questa capacità di riempire le mancanze, di sanare le ferite interiori attraverso parole intrise di originaria vitalità, chi abbia ascoltato non solo il «sacerdote», ma anche il filosofo e il chimico, o se si vuole «l'alchimista», sa che Raimon Panikkar non è soltanto un «costruttore», ma anche un «distruttore», e che anzi la sua lezione più importante è proprio questa: non può essere costruito nulla di nuovo là dove previamente non sia stato smantellato il vecchio. Ogni ri-generazione ha bisogno di spazio o di Vuoto. Questa è la legge dell'Essere. Il mezzo per farsi spazio e per ricostruire è lo stesso: il dialogo dialogale, un incontro che coinvolge l'interezza della persona attraverso la «differenza» del mythos, che è l'humus dove affondano le credenze culturali. Lo spazio per l'evento dialogale è la mistica, spazio «puro», aria non inquinata dalla riflessione logica e dunque invisibile, inintelligibile; mentre la ri-generazione, la nuova costruzione, è la nuova innocenza, una nuova forma di consapevolezza della Realtà che «dà vita» ad un nuovo rapporto con l'Essere, esperenziale, immediato e dunque sincero.
Raimon Panikkar è un provocatore, un lanciatore di sfide che pone l'uomo «alle strette» con se stesso. Ma assieme alla proposta della sfida della metanoia mitica, che è la sfida della nuova innocenza, egli da «anche» una risposta, una sorta di previsione «oracolare» che non consiste nella certezza di una conclusione «positiva», sicura, ma piuttosto nella riabilitazione della fiducia dell'uomo nella propria capacità di essere in grado di accettare la sfida, l'incontro, il dialogo, l'apertura alla diversità, la Vita, comunque andrà a finire. Nel tentativo di interpretare questo messaggio «oracolare», l'uomo si accorge che la sfida reale «è» il re-cupero della possibilità stessa di accettare la sfida, di dire di «si» con la propria partecipazione, di accettare il rischio della libertà vitale. La ri-generazione avviene dunque nel presente, senza dover attendere un risultato spostato in un futuro imprecisato, senza dover far ricorso a qualche escatologia: il premio non si trova alla fine del cammino, ma consiste nella capacità di vivere la pienezza del cammino stesso, di vivere la pienezza dell'Essere, il presente della Vita attraverso la presenza personale.
L'intento di Raimon Panikkar è quello di ri-orientare l'essere umano verso l'Essere, che è tanto un sostantivo quanto un verbo, una funzione. La cultura occidentale, negli ultimi seimila anni di storia, rapportandosi all'Essere, ovvero nel processo del conoscere, si è concentrata sul suo aspetto sostanziale, intelligibile, permettendo alle proprie capacità razionali di prevaricare l'aspetto funzionale, incontrollabile e incontenibile, che in tale modo è stato oscurato. Tale atteggiamento monistico, ha costituito la base per ogni assolutismo e per ogni totalitarismo. Anche nel momento in cui l'aspetto funzionale dell'Essere è stato percepito, l'impossibilità razionale di costringerlo nelle proprie categorie, ha spinto la mente occidentale ad un'ontologizzazione negativa, a creare cioè due sostanze, dando sfogo al dualismo. Il problema del dualismo è il problema della comunicazione fra due sostanze autosufficienti, chiuse in se stesse, assolute: è il problema ultimo della modalità del rapporto fra identità e differenza, fra immanenza e trascendenza, o se si vuole, fra mente e corpo. L'Essere è «anche» funzione, scorrere, imprevedibilità, insondabilità, pluralità, differenza, sensibilità; è «anche» corpo oltre che mente, è «anche» mistero oltre che intelligibilità, e non voler prendere in considerazione questo «anche», questa relazione costitutiva dei suoi due aspetti antinomici, significa nasconderne il senso pieno: significa oblio dell'Essere. L'uomo occidentale si è auto-recluso nella prigione del logos gestita dalla razionalità, ossia in un tipo di conoscenza analitica e specialistica, riflessiva e oggettivante, tecnocratica, che gli ha impedito di ascoltare l'intero linguaggio dell'Essere, di averne una visione relazionale e integrata, facendolo precipitare nel non-senso.
Se tutto questo però vale per l'Occidente degli ultimi seimila anni, non ha riguardato invece tradizioni più antiche della stessa cultura occidentale, né tanto meno riguarda storia e tradizioni orientali. Il confronto con il mondo orientale, che si è incarnato nell'Autore tanto attraverso il DNA e l'educazione paterna quanto attraverso l'esperienza personale, dovrebbe aiutare l'uomo occidentale a relativizzare sia la propria tendenza all'universalizzazione, che nel caso contemporaneo ha preso le sembianze della globalizzazione, sia la supremazia della Ragione, del logos, del soggetto sulla sensibilità, sul mythos, sull'oggetto nell'atto conoscitivo; come anche la convinzione della centralità dell'Ego che si concretizza nell'individualismo. In questo confronto, in questo dialogo relativizzante, l'uomo occidentale (od occidentalizzato) trova la sua possibilità di liberazione dalla schiavitù intellettuale e dunque dal non-senso. La differenza interculturale ponendo l'uomo di fronte ai propri limiti, ponendolo di fronte all'altro, al differente, costringendolo alla contingenza, gli impone un ripiegamento su se stesso, una ri-flessione che lo spinge nuovamente alla domanda originaria sull'identità, ossia all'interrogativo del «chi sono io». Attraverso l'osmosi che si crea tra il dialogo con l'altro, inter-personale o inter-culturale, e il dialogo con se stesso, scaturito dalla domanda sull'origine, che è dialogo intra-personale, la coscienza dell'uomo si modifica, cresce su se stessa fino a raggiungere la consapevolezza della relatività radicale della Realtà. Uscendo dal proprio arroccamento l'Ego si scopre un Io identitario in relazione inter-in-dipendente con un Tu differente, che è il suo Tu indissolubile, senza il quale non potrebbe essere. L'uomo scopre così che l'Essere «è» relazione tra due aspetti complementari e costitutivi, e che questa relazione, pur essendo apertura trascendente che si rivela esclusivamente nel «tra», nel confine tra le altre due dimensioni dell'identità e della differenza, della mente e del corpo, è tanto reale quanto queste, ed anzi è ciò che rende possibile tale Realtà. Inoltre, queste tre dimensioni del Reale inteso come tutto ciò che è, sono tempiterne, ovvero si compenetrano nel presente: in tal modo la trascendenza irrompe nell'immanenza donandole profondità, senza essere più relegata in un altrove o in un «chissà quando». Raimon Panikkar restituisce all'Essere il suo significato integrale e all'uomo la sua libertà, che è possibilità di comprensione pienamente significante, che è possibilità di aderire pienamente all'Essere, di ascoltarne e decifrarne il linguaggio reale. Questa nuova saggezza non ha chiaramente nulla a che fare con la riduzione razionale della conoscenza dialettica e analitica, né con l'istinto della sensibilità, piuttosto costituisce un'espansione di entrambe. Questa nuova forma di conoscenza, consapevole dell'integrazione del tutto, capace di «vedere» e stabilire un nuovo rapporto, un «tocco» esperenziale più rispettoso, generoso, immediato, amoroso e disponibile nei confronti dell'Essere, è la nuova innocenza che, seguendo la parola stessa, è relazione in-nocens, che non nuoce, incapace di violenza e di aggressività. L'uomo dialogale, cresciuto nella consapevolezza innocente, si muove in uno spazio mistico nel quale c'è posto per ogni unicità ma per nessuna riduzione. Ciò è possibile poiché la vecchia antropologia bidimensionale (mente-corpo), incapace di rapportarsi alla differenza dell'Essere, è stata approfondita dalla terza dimensione relazionale: la Realtà non è né una, né due, né tanto meno tre; ma è «Una» e «Trina» contemporaneamente; è a-dvaita: a-duale. La Realtà è armonia cosmoteandrica: l'uomo che si apre alla relazione si realizza microcosmo, quaternitas perfecta, scoprendo che l''é'del suo «essere» uomo, è intrinsecamente congiunto con l'«È» di tutto ciò che «È», poiché partecipa all'Essere. Cosmo-Dio-Uomo, altrimenti detto, Sensi-Fede-Ragione, o ancora Corpo-Spirito-Mente, sono l'Essere libero di seguire la propria legge, la legge «di» essere, di scorrere, di vivere incondizionatamente senza falsificazioni, per la quale la ri-generazione è continuamente emergente: sempre, dopo la fine un nuovo inizio, che diventa a sua volta fine e possibilità di un nuovo inizio. Ma in questo scorrere continuo e paradossale, sempre diverso eppure costantemente se stesso, è necessario il momento de-strutturante e disarmonico che permette il cambiamento, il movimento stesso. È così che in questa visione integrale, originaria dell'Essere, la morte, il male e il dolore, da non confondersi però con l'uccisione, la violenza e la tortura, diventano possibilità, apertura verso la ri-generazione: acquistano realtà e naturalezza. Raimon Panikkar appare impegnato a de-ontologizzare l'Essere per permettergli di esprimersi liberamente, per permettere alla Vita di ri-sorgere, poiché seguendo la ruota della Vita, seguendo la legge dell'Essere, la contemporaneità appare attraversare il momento kairologico, opportuno cioè, per la ri-nascita: la società contemporanea ha la possibilità per una nuova innocenza. Deve solo accettarne la sfida.
Un simile proposito corrisponde alla proposta di smantellamento di una cultura. Raimon Panikkar non è dunque solo «passiva accoglienza», ma anche «attività trasformante»: è acqua e fuoco insieme, è tanto yin quanto yang, è ossimorico come ogni essere realmente Reale.
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